Bisognerebbe non sapere nulla del film giorgiano di Rezo Gigineishvili, Hostages, prima di entrare in sala. Non leggere sinossi o mini plot sulla semplice trama. Perché Hostages è un film in salita. Che tenta una scalata di tensione astuta e serrata accompagnata da un’ansia gelida fino all’epilogo finale.
Un gruppo di ragazzi georgiani nella Tbilisi degli anni 70, è alle prese con un qualche oscuro segreto, un patto tra di loro ci fa capire che stanno che partire, per commettere qualcosa di irreversibile. Sono tutti artisti, attori, pittori, studenti di medicina, si conoscono da tempo e i loro genitori li controllano a distanza. Sono i figli dei funzionari di partito della Georgia comunista, non possono fare niente di sconveniente perché loro incarnano il frutto del benessere che il partito ha loro promesso.
Eppure qualcosa non torna. I due sposini Nika e Anna e i loro amici sperano di scappare dalla Georgia, frequentano le funzioni religiose della chiesa ortodossa per ribellione, leggono la bibbia e ascoltano la musica rock inglese e americana. Non vogliono far parte del mondo in cui sono cresciuti, sognano la libertà e la sognano con così poca ragionevolezza da pensare di poter dirottare un volo diretto a Mosca, arrivare in Turchia, e da lì fuggire di nuovo verso l’Europa.
L’insensato piano del dirottamento li rende allegri e spensierati, maneggiano le armi con innocente leggerezza, impugnandola e puntandola, senza mai sparare, ballano la danza “Khorumi”, l’antica danza georgiana dei cacciatori della fertilità che poi è rimasta tradizione nei matrimoni. Anche i ragazzi russi moderni, disinibiti, amanti del rock and roll e lettori voraci dei testi cristiani proibiti, sanno ballare la danza Khorumi e la danzano ebbri di vino e di grappa alla prugne, mentre la camera li insegue in uno spettacolo sfocato dal sapore amaro come un finale.
I due sposi sanno bene che quella sarà l’ultima danza, e perciò se la godono.
L’opera sembra essere volutamente e scenicamente svuotata di significato.
E’ come se il regista non sappia cosa fare, se stare dalla parte dei fuggitivi, armati e spavaldi o con i georgiani rimasti a Tiblisi che poi in seguito li processeranno. Non c’è morale o giudizio ma non c’è nemmeno rabbia manifesta nella ribellione che si sta per compiere. Alcune volte si scopre che i criminali si mettono quasi a ridere per quello che stanno facendo. La posta in gioco è fuorviante. La sceneggiatura scorre lenta, sonnacchiosa, mentre tenta di spiegare cosa significhi vivere in un paese comunista alla fine degli anni 70′, (mentre l’Europa si libera apparentemente di tutte le imposizioni culturali), raccontando momenti di vita, scambi veloci tra adolescenti, bagni di notte, le pistole tenute in mano senza sicura, che spaventano lo spettatore ma non loro, incapaci di sparare. Eppure non gli importa. Quello che conta è che andranno via di lì.
L’ingenuità narrativa della storia però non riesce a controllare la bellezza e la forza della macchina da presa, che danza continuamente, inseguendo il giovane sposo Nika in un piano sequenza incredibile mentre saluta i familiari prima della partenza. Li saluta uno ad uno, come in un lungo addio d’amore, perché ha già deciso che non ci sarà più spazio per quel mondo di feste in famiglia, per quel clima di controllo conservatore e privilegiato contrario a qualunque riforma ma destinato a scomparire.
Director: Rezo Gigineishvili Writers:Lasha Bugadze, Rezo Gigineishvili
Stars: Irakli Kvirikadze, Tinatin Dalakishvili, Avtandil Makharadze|