The comedy of remarriage

Alfred Hitchcock sapeva distinguere bene tra sorpresa e suspense, tra le bombe che ci sconvolgono (“boom!”) e quelle che ci fanno sentire in pericolo (“tick, tick, tick”).
The One I Love è un modesto film low budget.  Si basa sul racconto tortuoso e commovente di un matrimonio in fase di spegnimento in cui la lenta fine è splendidamente cosparsa di piccole e grandi bombe alla Hitchcock che continuano a ticchettare fino alla fine. L’incerto setup dei personaggi risulta banale e minimizzato, ma è proprio quello a rendere il finale ancora più esplosivo.
Ma cominciamo dall’inizio: quando incontriamo Ethan (Mark Duplass) e Sophie (una meravigliosa Elisabeth Moss), i due sono infelicemente coinvolti da una sessione di terapia con il loro strizzacervelli senza nome (Ted Danson), e da subito capiamo che molto probabilmente uno è stato tradito dall’altro.

Se questo può essere ragione di divorzio altrove, qui è un vero proprio lancio catapultante nella storia.
I due sposi vogliono rivivere l’amore di quando si sono conosciuti, vogliono rimediare e cancellare con un colpo di spugna 11 anni di matrimonio, con i suoi orrori, i ricordi terribili, gli allontanamenti, i tradimenti per focalizzarsi solo sui bei ricordi. Il terapeuta offre una via d’uscita proponendo loro di trascorrere un weekend in un ritiro in campagna. Una splendida casetta fuori città in cui Sophie e Ethan potranno trascorrere due giorni da soli.
A quanto pare molte delle coppie in cura da lui sono tornate dal quel weekend completamente…rinnovate! Il fraseggio sconnesso di Danson, il terapeuta, e quel vuoto bizzarro e un po’ macabro che inserisce prima della parola Rinnovate, ci ricorda certe frasi fuori contesto tipiche di Christopher Walken e ci suggerisce che la situazione non è esattamente come sembra.
Anche in questo caso il regista Charlie McDowell non appesantisce troppo la mano del suo sceneggiatore Justin Lader, che mantiene il segreto ancora per un po’. Così nella splendida naturalistica casetta di campagna, Sophie e Ethan trovano una villetta e una piccola dependance appartata, separata dalla casa da una piscina: sono soli, hanno l’alcol e tanta voglia di ritrovare i se stessi di una volta. E così proprio mentre iniziano a saltellare come palline da ping pong da una casa all’altra in pigiama, si rendono di non essere soli. Quando lei si trova nella casa e lui nella dependance, e viceversa, i due si imbattono con degli Intrusi, identici a loro, ma leggermente diversi (Ethan ad esempio non ha gli occhiali). L’intruso Lui e L’intrusa Le si infilano, così a gamba tesa, nel loro weekend del riavvicinamento.
Apparentemente più giovani, più divertenti, più loser e in qualche modo più sexy di Sophie e Ethan, questi due doppi si intrufolano nello spazio della coppia – fisica e psichica – con sorrisi, lusinghe, effusioni e una familiarità affascinante e sinuosa.
Le menti più anziane potrebbero ricordare Eva contro Eva, e le parole del personaggio Eva Harrington che scivolavano come un lungo coltello, nitido e brillante nella vita di Margo Channing.

Anche qui gli Intrusi continuano ad avanzare verso Sophie e Ethan, abbassando le loro difese, rendendoli confusi su tutto e trasformando il weekend in un inseguimento gatto – topo.  Ma come dice Margo Channing, “Non topo, mai topo! Casomai un ratto!”
L’identità dei due Intrusi, la presenza dei due doppi si manifesta come un mormorio continuo nell’orecchio che disorienta e rende viva la missione dei protagonisti. Ci sembra chiaro che se all’improvviso Ethan e Sophie smettessero di parlare degli Intrusi o di nominarli per un attimo ecco che tutta la storia si sgonfierebbe e perderebbe di fascino.
Il regista Charlie McDowell gestisce e maneggia con morbidezza il mistero, anche se a volte la camera tentenna incerta nel tentativo di dare la caccia a qualcuno dei suoi fantasmi. La visione risulta a volte frustrante, poco attenta alle possibilità visive che può offrire la storia, mentre il gioco sui cambiamenti fisici (e di recitazione) dei due protagonisti è efficace e le porte che Sophie e Ethan aprono e chiudono continuamente, ben rappresentano la natura confusa e doppia delle loro menti.
C’è un tocco di pazzia nello sviluppo della storia e talvolta il film sembra essere sul punto di diventare la versione innovativa e contemporanea di quello che il filosofo Stanley Cavell definisce Le commedie del ri-matrimonio. Ma non ci riesce completamente, perché la posta in gioco dei personaggi, la situazione e i loro problemi (il marito imbroglione e la moglie rabbiosa), sono troppo convenzionali. Una delle poche citazioni riuscite arriva quando Ethan menziona Chi ha paura di Virginia Woolf, quel classico di femminilità mostruosa, che racconta bene il tragico desiderio in ognuno di noi di negoziare i propri desideri con la triste realtà.

The One I Love è un film divertente, ma non prende fuoco, nonostante la signora Moss sia un’attrice straordinaria.  Si stacca infatti dai limiti imposti su di lei dai Mad Men creando il complesso ritratto di donna che mette alla prova i suoi sentimenti e i cui sorrisi funzionano come una barricata finché la rottura del sentimento non abbatte anche le ultime difese.

By MANOHLA DARGIS (traduzione di Giuliana Liberatore)