Lo sceneggiatore Paul Laverty
Intervista di SUSAN KOUGUELL per la Rivista ScriptMag
Ho incontrato Paul Laverty a Manhattan per parlare di sceneggiatura e della sua collaborazione di lunga data con il regista Ken Loach. Per il Signor Laverty i temi sociali della contemporaneità sono fondamentali, lo si capisce non solo dalle storie che affronta nei suoi film ma anche dalle inchieste su cui costantemente lavora, prendendo spunto da personaggi e storie reali.
Laverty è nato a Calcutta nel 1957 da madre irlandese e padre scozzese, ha studiato filosofia a Roma e Giurisprudenza a Glasgow. Negli anni ’80 ha lavorato come avvocato in Nicaragua, impegnandosi a studiare casi giuridici particolari e violazioni dei diritti umani; ha viaggiato per un po’ anche in Guatemala e a El Salvador. Nel 2002 ha vinto il premio per la miglior sceneggiatura a Cannes per Sweet Sixteen, con la storia di un giovane delinquente scozzese in lotta per una vita migliore. E quello stesso anno, insieme a Loach e alla loro produttrice Rebecca O’Brien, ha creato la Sixteen Films, la società che da allora sostiene gran parte dei loro progetti, oltre a numerosi film di altri registi.
The Story
Dopo aver perso la loro casa di proprietà durante l’incidente finanziario del 2008, Ricky e sua moglie Abby hanno un disperato bisogno di ritrovare stabilità economica. L’opportunità per Ricky arriva quando gli viene proposto di lavorare come “Capo di se Stesso” offrendo un servizio di consegna pacchi (Delivery Franchise). Nella speranza che questo lavoro si trasformi un giorno nella possibilità di avere una sua ditta di consegne a domicilio, Ricky vende l’auto di Abby per sostituirla con un nuovo furgone fiammante. Ma la coppia si accorge presto che le loro vite vengono stravolte da orari di lavoro insostenibili, da un supervisore che non lascia loro spazio e dalle nuove esigenze dei loro figli adolescenti. Il racconto alterna i momenti intensi e a volte complicati che ogni famiglia è costretta a sostenere, ma anche gli atti di disperazione per farcela ogni giorno.
Kouguell: La tua prima esperienza con una sceneggiatura e l’incontro con Loach sembrano essere il mix perfetto che ogni aspirante sceneggiatore possa sognare…
Laverty: Sì, quello era il primo trattamento che scrivevo in vita mia.
Ho lavorato per tre anni come avvocato per i diritti umani in Nicaragua e sono stato testimone di guerra a El Salvador e in Guatemala, scrivendo rapporti sui diritti umani. Nella mia ingenuità ho pensato che potevo facilmente scrivere una sceneggiatura senza esperienza e senza formazione, su tutto ciò a cui avevo assistito.
Non avevo idea di come si scrive un trattamento cinematografico, così ho comprato un sacco di libri, li ho letti e ho cercato di capire cos è un trattamento. Alla fine mi sono messo al lavoro e ne ho scritto uno. L’ho inviato a molti registi in tutto il mondo e ovviamente solo pochi di loro mi hanno risposto: alcuni di quelli che hanno risposto hanno detto, ‘è una zona di guerra’, ‘è in spagnolo’, insomma il succo era “grazie ma non ci interessa!”.
Ken invece è stato curioso e ha risposto: “Dai, incontriamoci per una tazza di tè.” Mi ha chiesto poi di scrivere una bozza di alcune scene.
Quell’idea, anni dopo, è diventata un film, Carla’s Song (1996), in cui un autista di autobus in Scozia, Robert Carlyle, accompagna un rifugiato nicaraguense in patria al culmine del conflitto sandinista. Il film successivo è stato, My Name is Joe (1998), che parla di un alcolizzato in ripresa, e Bread and Roses (2000) che ha messo in luce le storie di alcuni lavoratori latino americani di Los Angeles che lottano per unirsi.
La prima volta che ho lavorato con Ken è stato lui ad insistere per venire a Glasgow, diceva: “Seguo sempre gli scrittori”. È un uomo che ha grande esperienza, ha girato film per decenni, io invece ero al verde e non avevo idea di cosa stesse succedendo. Scrivere era come una droga; non ho mai perso quel senso di eccitazione durante la scrittura. Sono stato molto fortunato ad incontrarlo. Lavoriamo insieme da oltre 20 anni.
Kouguell: Come funziona la vostra collaborazione? A chi viene la prima idea?
Laverty: Ora siamo amici e ci scambiamo idee continuamente, parliamo e ci inviamo suggestioni. Per ogni progetto c’è stata una fase iniziale diversa dalle altre. I nostri lavori sono ben diversi e non ci intromettiamo troppo nel lavoro dell’altro: lui dirige e io scrivo, ma cerchiamo di incontrarci nel mezzo come i cineasti. Facciamo uno sforzo per trovare una via comune. Ken è l’uomo più rispettoso che si possa incontrare, soprattutto verso gli scrittori. Non dice mai che è “un film di Ken Loach”, e chiede sempre che lo sceneggiatore abbia lo stesso compenso del regista. Io non ho un agente, quindi mi sono fidato di lui dall’inizio. Ripete spesso che la cosa più creativa in un film è la sceneggiatura.
Kouguell: “Sorry we miss you” e “I Daniel Blake” sembrano assomigliarsi….
Laverty: Possiamo dire che “Sorry we miss you” e “I Daniel Blake” si corrispondono simmetricamente. Il primo è uno sguardo sulla crudeltà del mondo del lavoro e volevamo osservarlo da vicino. E’ come se queste sue storie nascessero dallo stesso disagio. Ad un certo punto abbiamo iniziato ad osservare le mense sociali in Scozia e in Inghilterra. In passato, le mense erano generalmente per i disoccupati, adesso insieme a loro ci sono anche i lavoratori poveri; quelli che un lavoro ce l’hanno. Ci sono famiglie di due persone con un lavoro, che nonostante questo non riescono a superare il mese. Allora ci siamo iniziati a domandare, perché?
Gli ultimi due film hanno mostrato alla gente una dura verità nascosta sotto la superficie.
In “I, Daniel Blake” si intravede bene ciò che stava accadendo al welfare inglese. Si iniziò a dire che i beneficiari di alcuni aiuti statali in realtà non li meritavano, pubblicando notizie e opinioni che iniziavano a convincere sempre più l’opinione pubblica. Ovviamente si trattava di una grande bugia messa in piedi dalla stampa di destra per demonizzare i poveri. Soprattutto in un momento storico come questo, in cui si cerca di sostenere al massimo la Gig Economy, (ovvero tutti gli smart-working fatti da casa tramite le aziende di Crowd sourcer della rete) e la cultura del Zero Contratto, a cui stiamo andando incontro.
Purtroppo l’economia del lavoro autonomo fittizio sta crescendo perché non vieni pagato con un salario e ci sono avvocati bravissimi a scrivere mini contratti per l’apertura di un franchising, che alla fine non valgono molto. Invece di liberare le persone dalla tecnologia, le lega ancora di più ad essa. Occuparci di questo ci ha fatto capire molte cose.
Kouguell: In “Sorry, we miss you” non c’è l’antagonista che spesso si trova in molti film. Qui, stanno tutti cercando di sopravvivere.
Laverty: Maloney, il capo, si trova in una situazione altrettanto scomoda, deve tenere tutti “buoni”. Se i partners societari non sono felici, la scatola si rompe e tutti perdono il lavoro. Gli autisti sono spesso ingranaggi di una ruota.
Kouguell: Parlami della ricerca che hai fatto.
Laverty: Fare ricerche per quest’ultimo film è stato più difficile che per gli altri. Di solito troviamo persone attraverso organizzazioni di base, contatti personali o giornalisti. Ad un certo punto ho iniziato a mollare. Poi sono andato nei parcheggi e ho parlato con i conducenti di furgoni quando staccavano dai turni di lavoro e li ho convinti a farmi andare con loro. In realtà è stato vederli fare il lavoro, vedere come stanno alla fine della giornata. Non c’è tempo per mangiare. Fanno la pipì in una bottiglia. Nessuna interruzione per andare al bagno. Non vedono mai i loro figli. Quindi hai la sensazione di quanto sia insostenibile.
Kouguell: Mentre il film è specifico per la sua ambientazione, questo problema è universale.
Laverty: Sì. Come puoi mantenere questa pressione di lavoro sei giorni alla settimana? Schiaccia le famiglie.
Kouguell: La tua scrittura ha raccontato in modo intenso la spirale discendente di una famiglia che era partita con delle buone intenzioni, senza mai dilungarsi troppo in discorsi paternalistici e senza predicare.
Laverty: Questa è la sfida della scrittura, non è vero che bisogna arrivare al cuore. La cosa più difficile è essere nella storia.
Kouguell: La sceneggiatura è molto snella. Nessuna scena è estranea.
Laverty: Ken voleva assicurarsi che non stessimo sprecando energia e che tutto fosse davvero essenziale. I miei film preferiti sono i più asciutti, come Ladri di biciclette.
Il grande segreto della sceneggiatura è trovare una premessa che risuoni per tutto il tempo.
Ricky è un autista di furgoni che consegna scatole. Sua moglie, Abby, una madre che non può prendersi cura dei propri figli, una madre il cui lavoro è considerato al secondo posto. Rinuncia persino alla sua macchina. Anche qui le donne sono sottostimate. Quando parli con questi caregiver ti accorgi che è un lavoro complesso. Sei a contatto e con clienti complicati. Sono stato sorpreso dall’abilità e dalle capacità comunicative che devono affrontare. Hanno poco tempo da trascorrere con ogni cliente e non vengono pagati per il tempo di viaggio. Questo è ingiusto. Le donne sopportano il peso maggiore ed è come se il loro lavoro non contasse nulla. Puoi portare avanti una piccola premessa solo attingendo a domande oneste, in questo modo puoi rendere giustizia alla premessa.
Kouguell: Consigli per gli sceneggiatori?
Laverty: Dipende da quale storia vuoi raccontare, se stai scrivendo una storia sul “potere”, devi scavare sotto la superficie. L’ascolto è molto sottovalutato. Più informazioni ottieni e più capisci il punto di vista di qualcun altro e se passi del tempo con loro e ascolti, ti daranno delle piccole perle che ti apriranno storie.
Poni le domande con rispetto e non sottovalutare le loro risposte. Se trascorri del tempo con le persone che ti raccontano storie delle loro esperienze, ascoltale; accenderanno la tua immaginazione e ti porteranno in posti che probabilmente non hai mai visto.
(Traduzione Giuliana Liberatore)